Quando nel 1948, noi Alberici, dalla "rasgheta" siamo venuti ad abitare a Gualtieri, Ligabue "al Toni" abitava da Berto Caleffi nella casa del Comune e dormiva nel fienile in coabitazione con Cita.
All'epoca le case erano affollate da famiglie numerose che dovevano destinare parte degli ambienti alla custodia di scorte per le persone e per gli animali; capitava che per giovani maschi in buona salute si dovessero cercare spazi alternativi alla camera da letto. Si spendeva un pò di fantasia per rendere confortevoli queste sistemazioni con arelle e teli di yuta intonacati a fungere da pareti e controsoffittature.
I letti erano quelli che passava la casa: reti o assi sui cavalletti, materassi di piume o pagliericci, coperte grezze più pesanti di quelle destinate a chi dormiva in casa (forse, perchè allora per i più non c'era riscaldamento nelle camere) e per comodino un sacco di frumento.
Nessuno, quindi, si scandalizzava che Ligabue dormisse nel fienile di Berto e non deve scandalizzare oggi. Certamente non costituiva problema che anni prima avesse abitato, su sollecitazione di Celestino Caleffi, nella barchessa messa a disposizione dal nonno Celso dove, fra l'altro, c'erano stanze fornite di finestre dotate di "spirei" (infissi) protette da inferriate e fittissime reti metalliche.
Non ero ancora nata all'epoca e devo ricorrere ai racconti di mia madre per ricostruire brandeli di storia in cui la vita della famiglia Caleffi s'intrecciava con quella di un uomo sofferente e dalla personalità complessa. Nonostante io fossi una bambina curiosa, stranamente, non sono mai entrata in alcuni ambienti della barchessa, per esempio: ad eccezione della legnaia che aveva un unico accesso raggiungibile con una scala a pioli non sono mai salita al piano di sopra.
Per ipotizzare dove abitasse Ligabue devo andare per esclusioni. Attraversato il cortile davanti alla casa lasciando a destra il pozzo e a sinistra "l'era" (l'aia) ci si trvava davanti "la bugadera" (la lavanderia) con "la furnasela" e il grande paiolo di rame; si proseguiva scostando un pò a sinistra e si passava davanti al porcile e al pollaio. In fondo, nella parte che confina con la strada, c'era una porta che immetteva in una serie di ambienti; qui c'era la casa di Ligabue.
Viveva con un cane diversi conigli che teneva a piano terra e che curava a modo suo. Quanto a lui, non aveva che l'imbarazzo della scelta: sistemarsi in una stanza adiacente o al piano soprastante e deve averle provate tutte senza trovare la soluzione soddisfacente. Ligabue, infatti, era terrorizzato dalla paura di morire nel sonno e dovendo, come tuti i mortali, cedere alla stanchezza, si era preparato una nicchia tra le balle di paglia, vi aveva piantato un palo messo per traverso e collocato esattamenta all'altezza del suo inguine e vi si calava in modo da dormivegliare in piedi come i cavalli.
Prima di accingersi al riposo compiva riti, emetteva nitriti che lo facevano immedesimare nell'animale. Mia madre raccontava che lei provava angoscia solo alla vista di Ligabue; spesso lui le chiedeva qualche soldo, diceva che le avrebbe fatto il ritratto, lei gli allungava una manciata di centesimi e si ritirava in casa, scoprendo talvolta che le mancavano il sapone e la mastella: Ligabue, infatti che non si lavava mai, lavava il cane e i conigli con una assiduità ossessionante. Mia madre non rimpiangeva il ritratto mancato, diceva che le avrebbe fatto rivivere la sofferenza che le provocavano quei fugaci ma inevitabili incontri.